
SPECIALELAVORO - Gli ultimi rapporti presentati da
Unioncamera e Confindustria parlano di una
situazione economica in leggera ripresa ma a leggere bene i dati c’è poco da sorridere, almeno secondo la
Cgil Alessandria che ieri, giovedì 20 febbraio, ha presentato la sua periodica analisi degli
andamenti occupazionali in provincia.
“Il segno ‘più’ di per sé è una buona notizia - sottolinea
Silvana Tiberti (nella foto in basso), segretario generale della Camera del Lavoro, introducendo il discorso - perché è pur sempre un dato che
indica come
il crollo degli ultimi mesi si sia arrestato. La nostra impressione però è che in provincia
siano poche le situazioni ancora in grado di salvarsi, quelle in cui
si rinnova e si investe, ma soprattutto
si esporta. E’ il caso per esempio dell’area Tortonese. Nella maggior parte degli altri casi invece, quando le aziende di riferimento sono legate al
mercato interno, la crisi si fa ancora sentire in tutta la sua gravità, anche perché
andando in crisi il lavoro e il reddito delle persone
è naturale che calino i consumi e le aziende non possano che risentirne”.
Secondo il segretario provinciale della Cgil la situazione complessiva non è cambiata rispetto alla fotografia scattata a settembre 2013:
quasi tutti i settori sono in difficoltà,
dall’edilizia (meno 900 posti di lavoro in un anno) al
comparto industriale e artigianale. “
Non ci sono investimenti - commenta Silvana Tiberti - né del pubblico né del privato. L’
accesso al credito è sempre più difficile e la mancanza di liquidità è diventato un problema strutturale. Non solo i problemi riguardano i privati, ma anche il pubblico: le amministrazioni pagano con ritardi abissali e lo
Stato fa cassa sui dipendenti. Un caso emblematico è quello del Cissaca, con i lavoratori delle cooperative che continuano a provvedere ai servizi senza essere pagati. Chi ha la fortuna di lavorare
prende lo stipendio con grande ritardo e dal nostro punto di osservazione assistiamo a situazioni drammatiche e paradossali: solamente nell’ultimo anno il nostro sportello ha gestito
200 dismissioni per giusta causa, con lavoratori che, stanchi di lavorare senza essere pagati,
hanno scelto di licenziarsi per poter ottenere almeno un sussidio certo. I
decreti ingiuntivi depositati presso i tribunali per crediti da lavoro stanno lievitando, e solo nell’ultimo anno
sono stati circa 1000, con un aumento del 30%”.
A preoccupare il sindacato non sono solamente
i pesanti tagli ai posti del lavoro, ma anche
le retribuzioni di coloro che ancora riescono a mantenere il proprio impiego: “la contrattazione di secondo livello è ferma. Quando siamo chiamati a intervenire è sempre ormai per
richieste del datore di lavoro di ridurre i livelli salariali. Le statistiche inoltre non riescono a rendere giustizia al fenomeno perché molti episodi sfuggono dalle rilevazioni: è il caso, per esempio dei tanti
cambi di appalto in settori quali pulizie e mense, sempre
votati al massimo ribasso e alla riduzione dei servizi. Oltre ai
negozi che chiudono vanno registrati anche i danni causati dagli
avvicendamenti nella grande distribuzione: quando chiude un centro commerciale e se ne apre uno nuovo, anche nel caso in cui si salvi il posto dei dipendenti, di solito
si azzerano i livelli salariali e di anzianità, con un danno per i dipendi che spesso equivale a
una perdita salariale del 20%”.

In generale, il mercato del lavoro, nonostante la lieve ripresa a livello economico, resta in forte crisi: “i
dati sulla cassa integrazione sono
un po’ migliorati solamente perché
alcune aziende hanno chiuso - prosegue il segretario Tiberti - e ovviamente un’azienda chiusa non avvia più procedure di cassa. In compenso,
il 30% delle nuove ore richieste dalle imprese riguarda realtà che fanno domanda
per la prima volta, sintomo che
la crisi sta allargando la propria base. Se si sommano la disoccupazione stimata, circa
38 mila persone, e i lavoratori a diversi livelli coinvolti nella cassa integrazione raggiungiamo lo spaventoso dato di
56 mila persone, che spesso sono in realtà famiglie (su circa
440 mila abitanti complessivi della provincia ndr)”.
Nonostante la difficoltà a reperire tutti i dati, il sindacato è in grado di fornire alcune cifre ulteriormente preoccupanti:
fra il 2008 e il 2013 viene registrato
un saldo negativo di 10 mila procedure di lavoro fra i nuovi contratti avviati e quelli chiusi (solo nel 2013
le assunzioni rispetto a 2012 sono diminuite del 13%). Se il dato di per sé colpisce occorre andare ancor più in profondità per coglierne in pieno la gravità: in totale i
posti di lavoro a tempo indeterminato persi sono stati 20 mila, dei quali però 10 mila sostituiti da
assunzioni precarie.
“Pensiamo all’impatto che questo ha sulle persone coinvolte - ricorda Silvana Tiberti - su chi da un lavoro a tempo indeterminato passa a uno precario. Pensiamo
non solo alla condizione di vita, ma anche alla propensione di spesa e alla voglia di investire che potrà avere. E’ chiaro che di questo passo il nostro territorio non può che vivere altri momenti difficili”.
Un trend simile si registra purtroppo anche nel
settore artigiano, con un fenomeno peculiare: “finita la cassa in deroga diverse realtà hanno cominciato a ricorrere
all’istituto della sospensione dal lavoro: in pratica l’impiegato in attesa di tempi migliori mantiene formalmente il proprio posto, ma riceve un contributo equivalente al
40% dello stipendio rispetto a quando lavorava (contro il 60% che si ha con la cassa in deroga)
senza però alcuna copertura previdenziale per il periodo di sospensione. Questo a molti lavoratori non è chiaro, ma può fare moltissima differenza in termini retributivi e pensionistici”.
Dal quadro che emerge, giunge
l’amara riflessione del segretario Tiberti: “parlare di numeri nello specifico appare ormai quasi inutile, tanto è chiaro il quadro complessivo. Sarebbe fondamentale farlo
se ci fosse un territorio in grado di fare tesoro dei dati raccolti, analizzare la situazione, proporre strategie. Sarebbe interessante
analizzare come cambia la vita delle persone con la crisi in atto, quali siano i bisogni, come si possa pensare di trovare risposte. La crisi ormai la si subisce quasi più senza reagire. Il nostro
“outlet Cgil”, spazio di primo soccorso per persone in difficoltà, contro lo spreco e per la redistribuzione, ha incontrato
nell’ultimo anno 1200 persone, il 1
5% delle quali italiani, bisognose di vestiti, stoviglie, articoli per la casa. La situazione complessiva è così tanto grave che ci sarebbe
un enorme margine di intervento. Invece assistiamo a un panorama nel quale ciascuno affronta la crisi per conto proprio, fra chi riesce a salvarsi e chi invece viene sommerso. Le carte che il nostro territorio avrebbe restano sostanzialmente ingiocate e se non si effettuano neppure quei pochi interventi che la politica potrebbe realizzare non si fa che favorire una crisi che invece non avrebbe certo bisogno di aiuti”.